Elementi di autobiografia ragionata

 

 

 

 

Penso per prima cosa il dove e il quando. Intendendo il periodo anagrafico (e perciò storico) della nascita e il contesto geo-fisico (e perché no) – politico ove nacqui. Siamo nel millenovecentocinquantasette, nella periferia urbana di Roma. In un luogo che allora era la frazione di un comune dei Castelli Romani – e oggi è Comune per proprio conto (con una propria amministrazione, un suo corpo vigili urbani, un proprio territorio, ecc. ecc.). Periferia sommessa ed umile all’inizio degli anni sessanta, da un papà e una mamma di origini contadine che dal cuore verde d’Italia si erano trasferiti (a piedi) appunto ai Castelli Romani e mentre mio padre lavorava come manovale presso i cantieri romani (di edilizia popolare e non, che a quell’epoca imperversano tutt’intorno la città) mia madre prestava le sue svelte esperte mani terrigne per coltivare orti e vigne non di  sua proprietà.

 

 

Io sono stato partorito nel grande letto che accompagnava le loro notti d’amore, con il concorso di una levatrice che all’epoca fu svegliata alle quattro del mattino ché mia madre c’aveva le doglie e alle cinque m’ha sgravato. Ero paffuto e silenzioso. Anche ingabbiato però, in una infermità neonatale e provvisoria che mi ha tenuto le gambe ferme per tutta la pubertà. Solo a sei anni ho cominciato a sgambettare per il mondo, continuando a farlo ancora oggi. Col risultato che da quel mondo chiuso (ed in parte felicissimo dell’infanzia) mi sono proiettato verso l’esterno che non era né facile né difficile. Era. Col suo presente ricorrente, fatto della sessualità e dell’amorevolezza che affannosamente ho sempre ricercato: dentro la mia famiglia prima, incontro agli amici della strada sterrata che abitavo poi, a scuola e negli sguardi delle pie genti della domenica (quando ancora l’umile ufficio di Giovanni XXIII percorreva questa terra) ancora dopo, per terminare quella prima avventura nel millenovecentottanuno quando ho conosciuto un esteta della fotografia b/n – innamorandomene solo come a quell’età (in quel contesto, col mio bagaglio) si può esserne (lui è del ‘50). Contraccambiato – credo, almeno per un po’. Per un periodo che è terminato nell’ottantasette quando finalmente ho deciso di lasciarlo. Mi ero innamorato allora di un’altra persona che ora non è più. Da entrambi ho ereditato cose diverse, ma queste sono troppo personali per poter essere messe in pubblico dominio.

 

 

Oggi nella vita affettiva sono vitali  gli amici, di lunga durata o di recente “acquisizione” che sono gli unici frequentatori abituali dei miei spazi quotidiani - volendo a tutti i costi averne di spazi... poiché un'improvvisa malattia di mia madre mi costringe a non averne più o ad essere ridotti al lumicino.

 

 

Nel frattempo si prosegue nel lavoro: mantenersi costa, ahimé. Con i disabili psicofisici. Più esattamente, dopo un lustro di  impegno nella valutazione di servizi alla persona, sono tornato ad insegnare - antica passione mai sopita - a giovani e meno giovani persone con problemi sia  psichici sia psichiatrici.

 

 

Nel frattempo ho continuato a leggere qualche bella pagina. E scritto qualcosa. Non che cambi molto: ma dall’esterno non ho ricevuto per questo, sinora, significativi input d’approvazione. Tutto qui. E anche altro: ma penso che ciò basti.

 

 

 

Roma, sabato 9 maggio 2009